Dimensioni standard
- Peso: 27 - 48 chili
- Altezza: 66 - 71 centimetri
L'aspetto del Borzoi
I Borzoi hanno una struttura alta e snella, ricoperta da un mantello setoso di media lunghezza, disponibile in bronzo, bianco, marrone, grigio o in qualsiasi combinazione di questi colori. Le loro teste lunghe e sottili hanno un cranio arrotondato, occhi scuri e orecchie arretrate sul collo. I loro colli spessi e potenti scendono verso il petto stretto, il dorso lungo e la coda lunga che pende verso il basso. Nel complesso, il Borzoi possiede una grazia robusta ma elegante.
Caratteristiche e carattere
- Gentile
- Indipendente
- Intelligente
- Nobile
- Veloce
Chi è il compagno umano ideale
- Conduttori di cani esperti
- Famiglie con bambini grandi
- Tipi attivi e sportivi
Come vivono i Borzoi
Il Borzoi è affettuoso, gentile e mansueto. In casa ha un carattere calmo e maniere impeccabili. Prova un'intensa fedeltà nei confronti della sua famiglia e può essere piuttosto facile da addestrare. Ma il Borzoi ha un lato serio e indipendente. Apprezza anche la calma, la tranquillità e la pace.
Poiché non lottano e non si divertono molto, i Borzoi non amano trascorrere troppo tempo con i bambini piccoli. Protettivi e leali, i Borzoi sono ottimi cani da guardia con un eccellente senso del controllo.
Cose da sapere sul Borzoi
I Borzoi sono nati e cresciuti come cacciatori. Assicuratevi che facciano molte passeggiate vigorose e teneteli sempre al guinzaglio. Sono ottimi compagni di jogging, ma non spingeteli troppo nella stagione calda.
I Borzoi possono vivere fino a 12 anni. Generalmente sani, alcuni possono avere problemi di fratture ossee. I borzoi sono anche inclini a gonfiarsi: Date loro da mangiare porzioni più piccole invece di un unico grande pasto giornaliero. Abbastanza facili da curare, i Borzoi necessitano solo di una spazzolatura occasionale. Tuttavia, in primavera e in autunno perdono pelo.
La storia del Borzoi
Conosciuto anche come Russian Wolfhound, il Borzoi è stato sviluppato dai nobili russi centinaia di anni fa per cacciare i lupi. Robusto e utilitario negli anni del Rinascimento, il Borzoi divenne un cane da caccia alla moda nel XIX secolo. Sebbene oggi il Borzoi sia un animale da compagnia popolare, alcuni sono ancora impiegati per le loro abilità di caccia e di guardia.
Le documentazioni attendibili, piuttosto scarse, soprattutto quelle iconiche, rendono plausibili le teorie sulla nascita della razza dei due principali studiosi, lo Studer e il Keller.
Secondo il primo, il gruppo dei levrieri deriverebbe da due ceppi: uno settentrionale al quale risalirebbero i levrieri britannici, con luogo di partenza la Britannia o la Gallia nord – orientale; uno meridionale che trarrebbe le sue più remote origini dal Paria Indiano, le cui forme snelle –immediatamente alludenti alla caccia di corsa - richiamano lo sciacallo Africano.
Secondo il Keller, invece, tutti i levrieri avrebbero una comune origine nell’Etiopia, da qui sarebbero arrivati agli Egiziani i quali, a loro volta, lo avrebbero diffusi in Asia e, da qui in Europa. Attraverso il Mar Nero, in particolare, i levrieri sarebbero giunti al nord. Ed è qui che i freddi polari spiegherebbero il pelo lungo, folto, particolarmente idoneo per mantenere a norma il calore corporeo nelle più dure situazioni di “ lavoro ” e di vita. In questo processo di tipizzazione molto è pensabile che sia dovuto ad incroci con cani da pastore autoctoni.
Pubblicisti tedeschi riferiscono di una antica cronaca secondo la quale, al suo matrimonio con Enrico I° di Francia ( 1051 ), Anna di Russia ( 1024 – 1075 ) , figlia di Jaroslaw, Gran Principe di Kiev, portò in dote tre cani: uno bianco, uno nero, uno rosso.
Tre simpatici cuccioli di Borzoi: non fatevi ingannare dalla dolcezza si tratta di cani con una forte indole da cacciatori
La nascita del Borzoi
Molto più sicura, invece, l’informazione proveniente da un messale Russo del sec. XVI , in una miniatura del quale appaiono cani che hanno già le caratteristiche salienti del Borzoi : testa sottile, piccole orecchie ritte, code a forma di falce, pelo ondulato . Nella miniatura, i cani accompagnano il pellegrinaggio del Granduca Wassilij Ivanowitsch (1503 – 1533 ), padre di Ivan il Terribile, primo Zar di Russia .
La notizia è importante perché ci testimonia l’interesse e l’affetto dei sovrani Russi per una razza canina che, se il monaco miniaturista è stato fedele nella sua rappresentazione ( e non vediamo motivo per dubitarne ), potremmo definire "simil – Borzoi".
I levrieri e il Borzoi Russo
L’esistenza di levrieri con le caratteristiche elencate avrebbe un’ulteriore conferma – sempre stando ai pubblicisti Tedeschi – in altre due notizie di quel periodo: nel 1519 Re Cristian di Danimarca avrebbe regalato tre Borzoi a Francesco I° Re di Francia ; il già citato Ivan il Terribile ( 1533 –1584 ) avrebbe mantenuto un “ cortile principesco di cani maschi “ a Luzinsk, nelle vicinanze di Mosca. Facile, dunque, pensare ai levrieri del messale e all’interesse per nulla occasionale nei loro confronti della corte russa.
Il grande interesse per il Borzoi prosegue in Russia sulla scorta della corte imperiale e delle varie “corti “ della nobiltà terriera russa, dove la caccia, come nelle restanti corti europee, costituisce uno status – symbol della nobiltà . E dove però, anche, il levriero genericamente definito oggi come “ Russo “, subisce diverse selezioni, in rapporto anche alle diversità culturali e ambientali della Russia, spesso non comunicanti fra di loro a causa delle grandi distanze.
Nel XIX secolo il Levriero “ Borzoi “ è già in sintesi definito, ma con caratteristiche sulle quali i vari allevatori non riescono ancora a trovare punti di accordo: chi vorrebbe far prevalere una caratteristica, chi un’altra . Tutto ciò rende di fatto difficile i primi tentativi di arrivare a uno standard unificato, del quale pure si avverte la necessità, stante il grande e crescente interesse suscitato da questa razza.
Diventa determinante, nella seconda metà del secolo, l’allevamento che il Granduca Nikolaj Nikolaevic fonda nella tenuta di caccia di “ Perchino “, nel distretto di Tula. Qui l’allevamento del Borzoi, diventa funzionale alle grandi cacce che la corte, con i suoi ospiti e i suoi dignitari vi tiene.
La selezione che il Granduca cura personalmente, individuando le coppie destinate alla riproduzione, diventa determinante per individuare le caratteristiche sulle quali verra’ poi stabilito lo standard attuale.
Da questo momento, il nome di “Perchino” si lega indissolubilmente alla nostra razza.
Su Perchino, sulle sue cacce, sui suoi allevamenti si hanno dati che spiegano l’importanza di questa tenuta, acquistata dal Granduca nel 1887. In 26 anni di attività, la contabilita’ minuziosa dei funzionari di corte enumera 10080 pezzi di cacciagione, tra cui 8656 lepri, 743 volpi e 681 lupi. Inizialmente il canile conteneva 60 Borzoi. Ben presto il numero sali’ a piu’ di 100. La struttura comprendeva 09 case fisse, ciascuna capace di 12 cani, riscaldate. O meglio: si scaldavano solo i box per le femmine e per i cuccioli, non quelli dei maschi adulti, evidentemente per facilitare lo sviluppo del manto che il Granduca voleva folto e spesso. Ogni canile, poi, aveva, accanto ai box, uno spazio perche’ i cani godessero di ampie disponibilita’ di movimento, altra caratteristica di fondo del buon Levriero. Anche questo spazio era suddiviso tra maschi, femmine e cucciolini. La produzione annuale era di circa 60 cuccioli.
Gli esemplari meglio riusciti venivano posti in mostra in un canile a parte al quale confluivano i visitatori. Generalmente conteneva dieci femmine e venti maschi sui quali si riversava l’attenzione dei visitatori piu’ esperti e che certamente contribuirono al diffondersi del “tipo” preferito dal Granduca .
Non mancava nemmeno un “ospizio”, con adeguati spazi e personale specializzato, per cani invalidi e per cani anziani.
Quest’ultima costruzione dice quanto il Granduca amasse i suoi cani e quanto tenesse sia a mantenerli in un corretto stato di salute che a farli vedere ai suoi ospiti. Per facilitare questi ultimi due obiettivi, il Granduca aveva disposto che sopra ogni casa venissero collocate delle pezze di stoffa intrise di trementina con la funzione di disinfettante e deodorante.
Certo, la caratteristica che ne ha fatto un animale da caccia non e’ solo nel carattere, ma anche nelle dotazioni fisiche che ne esaltano la velocita’ e quindi la caccia di corsa.
E’ molto probabile, tuttavia, che proprio la selezione e l’addestramento al quale il Borzoi era sottoposto dagli allevatori Russi concorresse a renderlo cacciatore, non solo verso la lepre (dote innata), ma anche verso altri animali; e che lo rendesse anche capace, non appena altri segugi avevano scovato la preda, di inseguirla e immobilizzarla fino al sopraggiungere dell’uomo al quale la cedeva. Buon esempio, di fedeltà verso l’uomo e, tutto sommato, anche di grande coraggio, tanto da affrontare, come abbiamo visto, il lupo.
Caratteristiche della razza e la passione di D'Annunzio
Le doti intrinseche di bonarietà ne hanno fatto un animale da compagnia, molto apprezzato. Uno dei suoi piu’ noti estimatori era Gabriele D’Annunzio. Leggiamo nella sua biografia, scritta da Benigno Palmerio che gli fu amico e veterinario di fiducia, che il poeta ne teneva diversi esemplari, ma di poche razze: un Cocker-Spaniel di nome Teli-teli (il preferito, tanto da dedicargli tomba con epigrafe poetica), alcuni Greyhound (cosi’ appaiono nelle fotografie) e, appunto, vari Borzoi.
I dati sui quali D’Annunzio sembra scegliere i cani (da 04 a 39, dicono le cronache) si ridurrebbero sostanzialmente due: la bellezza (ricordiamo che egli è un esteta) e la fedelta’. La prima è sottolineata dalle cure che il poeta dedica loro, a partire dal canile che un suo biografo descrive cosi’: una graziosa casetta in mattoni rossi, collocata nel fondo del cortile, in mezzo a un campo, con il piano lievemente inclinato ed elevato alcuni centimetri dal suolo, con numerose cunette e fognature che ne permettevano la piu’ accurata pulizia . Nell’interno, un impianto di lampadine elettriche, la cui luce di notte traspariva attraverso i vetri colorati delle finestre e della porta, conferendo al canile un aspetto di bellezza fantastico e sicuramente, per quei tempi, fuori della realtà. Un totale riconoscimento alla bellezza dei cani, tenuti senza alcun riscontro pratico.
Potremmo rilevare in questa “corte della bellezza” che è la Capponcina D’Annunziana un parallelo alla “corte del potere” dei Granduchi di Russia.
La seconda, la fedeltà, è esaltata dal D’Annunzio che ne scrive il nome latino (fidelitas) su una banderuola sovrastante il canile. E che questa dote l’attribuisse più ad alcune razze che ad altre potrebbe venir dedotto dal fatto che la parola fidelitas era abbinata, appunto, alla sagoma di un levriero bianco.
In queste razze D’Annunzio coglieva un qualcosa di classico che egli esprimeva con nomi biblici, mitologici, letterari, semplicemente, prodotti dalla sua sconfinata fantasia. E, come a tutto ciò in cui coglieva elementi di classicità, si dedicava personalmente alle cure dei cani, felice di essere da loro rincorso, ”assalito” con un crescendo impressionante di guaiti e abbaìi.
Si direbbe che, in mezzo ai cani (e ai cavalli) D’Annunzio ricercasse isolamento dagli uomini e ispirazione per le sue opere poetiche. Gli animali lo “ricaricavano” se è vero che con essi trascorreva ore e ore proprio quando più il sacro “ fuoco dell’arte ” lo divorava.
E che dire delle cure che prestava loro di persona in caso di ferite o malattie? Il Palmerio narra di veri e propri interventi chirurgici che il D’Annunzio avrebbe fatto con perizia pressoché professionale. Quando poi ne moriva uno, la perdita affettiva era per lui una vera e propria ferita. Si veda, ad esempio, l’epigrafe per Teli-teli. Se poi la malattia era tale da costringerlo ad abbattere il cane, il dolore del poeta assomigliava alla perdita di un amico. Altrettanta, infine, era la gioia quando il cane guariva e riprendeva la sua solita voglia di vivere.
Cronologia modifiche e integrazioni articolo
- 18/08/2022 - Pubblicazione articolo a cura di Fabiana Valentini
- 30/11/2022 - Integrazione guida a cura di Marco Fiamberti